Restaino Cantelmo


Tra la fine del 1400 e i primi decenni del 1500 il feudo di Popoli (attuale provincia di Pescara) ebbe il massimo splendore, sia per rilevanza storica, sia come estensione delle sue terre ad opera di uno dei suoi più discussi e tristemente famosi personaggi, Restaino Cantelmo (nel disegno un ritratto eseguito dal pittore Leonardo Quatraro sulla base di un dipinto rintracciato nella biblioteca di Napoli) che ne fu l'abile ed al tempo stesso turbolento possessore.
Quattordicesimo Signore e settimo Conte di Popoli, di fede ghibellina e dedito alla guerra, per la sua statura e robustezza veniva soprannominato "Restagnone".
Restaino era di carattere fiero e bellicoso, avido di gloria e geloso dei suoi possedimenti. Il suo carattere lo spinse a mostrare fermezza e decisione anche nei confronti del re Ferrante I° d'Aragona. Quando le truppe del figlio di questi Alfonso (futuro regnante), aqquartierato a Chieti, tentarono di raggiungere L'Aquila per costringere all'obbedienza la sua cittadinanza, Restaino le costrinse ad attraversare il territorio di Popoli "pochi drappelli alla volta ed alla spicciolata".
A quel tempo l'Aquila era dominata dalla famiglia Camponesco, che non voleva pagare i nuovi balzelli imposti dal re. Arrestato il capo di questa famiglia, Pietro Lalle Camponesco, a Chieti dove Alfonso aveva riunito i Baroni d'Abruzzo allo scopo apparente di decidere l'aumento della gabella per il sale, e rinchiusolo nella fortezza di Castel Nuovo di Napoli, il futuro re aveva involontariamente causato il passaggio del comando della città nelle mani della famiglia Gaglioffi, antagonista della prima, i cui membri più in vista erano due fratelli preti, Vespasiano e Giambattista che si adoperarono affinché l'Aquila si desse al Papa Innocenzo VIII, sperando da questi incarichi ecclesiastici più prestigiosi.
Fu così che Restaino, avendo sposato Diana, figlia di Pietro Lalle Camponesco, per vendicare il suocero sbarrò a lungo la strada ad Alfonso D'Aragona.


Soltanto alla liberazione di Pietro Camponesco da parte di Re Ferrante, su pressione degli aquilani, Restaino si riconciliò con i reali ed il 22 novembre 1485 invitò nel palazzo ducale Alfonso, che allora si trovava con le sue truppe a S. Maria d'Arabona. Restaino aveva anche ottenuto da Alfonso un aiuto consistente nella riconquista di Pescosansonesco, che si era ribellato al suo dominio.

Perfino Pietro Camponesco era pienamente consapevole dell'indole bellicosa del genero. Nonostante che avesse intrapreso l'opera di ripulire la sua città dai traditori e dalla famiglia Gaglioffi, che aveva fatto uccidere due suoi nipoti, temendone lo sdegno eccessivo fece in modo che i due prelati venissero segretamente informati dell'arrivo di Restaino.
Nonostante l'avvertimento non solo Restaino raggiunse uno dei preti che era riuscito a fuggire, ma lo uccise e lo gettò nel fiume Aterno.

Il periodo era tale che in pochi anni l'assetto del regno cambiava del tutto fisionomia e struttura regnante. Alla morte di Ferrante I, avvenuta nel 1494, diventò re di Napoli Alfonso d'Aragona contro il volere del padre, che ne conosceva bene la crudeltà e i vizi.
Restaino era tipo da manifestare abbastanza apertamente la sua avversione alle inique pretese del re, tanto da costringere i reali a inventariare i suoi beni, ad intestarli alla tesoreria regia e ad arrestare lo stesso conte che fu rinchiuso nelle carceri di Castel Nuovo a Napoli.
Ma il conte di Popoli, pur nella sua rudezza, era stato sempre fedele alla corona di Spagna. Sicché all'arrivo del nuovo dominatore della scena politica, Carlo VIII di Francia, venuto in Italia con il determinante appoggio dei ducati del Nord, tutti i dignitari e le popolazioni delle nostre terre si votarono all'obbedienza al re francese, tranne lui e pochi altri.
All'arrivo di Carlo VIII a Napoli, Ferrante II, che nel frattempo era succeduto ad Alfonso di Aragona, fuggì ad Ischia con i suoi lasciando sguarnita la fortezza dove era rinchiuso Restaino, il quale potè riacquistare la libertà.
Occupata Napoli, Carlo VIII affidò L'Aquila e la contea di Popoli ai Gaglioffi, ma nei successivi due mesi gli avvenimenti presero pieghe del tutto inaspettate, poiché la corruzione e la violenza degli ufficiali francesi furono così insaziabili, con saccheggi spietati di case e chiese, che la conseguente ribellione dei dignitari costrinse Carlo VIII a fuggire in Francia.
Restaino e Pietro Camponesco prestarono obbedienza a Ferrante II, e mandati da questo a riconquistare l'Abruzzo intero, si scontrarono con Graziano Guerra, valido e temuto luogotenente di Carlo VIII, lasciato in Abruzzo a difendere il governo francese della regione.
Restaino pur dotato di forze inferiori mise in fuga ed inseguì il Guerra, anche se quest'ultimo era in grado di resistere e ricambiare l'attacco. Si susseguirono alterne vicende, nel corso delle quali sembrava che le cose volgessero ora a favore dell'uno ora a favore dell'altro.
Alla fine il Guerra abbandonò il campo e Restaino poté tornare nel pieno possesso di Popoli ed arricchire la contea con i territori di Raiano, Pentima, Vittorito, Pescosansonesco, Ortona dei Marsi, Carrito, Rivisondoli ed altre terre disabitate, mentre riottenne la giurisdizione criminale sui terrirori di Brittoli, Carpineto, Civitella e Palena.
Dopo la morte della prima consorte, Diana Lalle Camponesco, Restaino sposa Giovannella Carafa, sorella del papa Paolo IV.

Per rafforzare ulteriormente il vincolo con la famiglia del Papa, il Conte concede in dote la cittadina di Arce (Prov. Frosinone, n.d.r.), proprietà della famiglia Cantelmo fin dal 1341 al tempo del Barone d'Arce Giacomo Cantelmo, alla nipote di Ferrante I° d'Aragona, Caterina, promessa in sposa a Leonardo della Rovere, nipote del papa Paolo IV.

Seguì un periodo di pace e calma relativa, durante il quale il famigerato Conte poté dedicarsi al restauro delle proprie case, delle vecchie fortificazioni ed a crearne di nuove.
In quel periodo venne rinforzata la struttura del Castello e ricostruita, stavolta con materiale proveniente dalla pietra travertinifera locale la torre più bassa, che solo la stravaganza di Restaino, ma al tempo stesso la sua grande conoscenza dei sistemi difensivi dell'epoca, poteva volere a forma circolare.
Venne organizzata e istituzionalizzata con apposito regolamento la difesa del Castello messo ora a nuovo con la nomina, forse a cadenza annuale, del comandante del drappello che ne doveva costituire la guarnigione e, nell'intento di coinvolgere tutta la popolazione, Restaino si inventò il Certame della Balestra, arma tenuta in molta considerazione dal Conte, tra l'altro abile cacciatore di orsi, in discreto numero nelle montagne del Morrone, con festeggiamenti e giochi basati sulla tradizione e sulla rievocazione di avvenimenti guerreschi.

La riaffermazione di vecchie leggi ed istituzioni è possibile abbiano indotto il Conte ad applicare il mai del tutto tramontato "ius primae noctis" se è vero che Restaino si conquistò l'odio di parecchi sudditi e del·suo stesso cappellano.

Nel 1501 troviamo però il conte di nuovo con le armi in pugno, schierato con Spagnoli e Ghibellini contro Francesi e Guelfi, allorché Luigi XII di Francia e Ferdinando d'Aragona detto il Cattolico non riuscirono, come era nelle loro intenzioni, a dividersi il reame di Napoli e tentarono di risolvere i problemi della delimitazione dei confini con la forza.
Restaino si trovava a Barletta quando ci fu la fatidica offesa del francese La Motte all'onore degli italiani, difeso poi con la famosa disfida.
Il successo degli italiani in quella gara ed i loro prodigi di valore nelle battaglie che seguirono, alcuni dei quali attribuibili a Restaino stesso, fecero volgere le sorti della guerra a danno dei francesi.
Restaino, che con i suoi armigeri e balestrieri aveva preso parte a parecchie battaglie, riottenne la contea di Popoli e giurò fedeltà a Ferdinando il Cattolico. Questi tuttavia non fu sovrano accorto, tanto più che Luigi XII assieme al non troppo convinto alleato papa Giulio II facendo guerra alla Repubblica Veneziana, pensarono di riaprire le sorti del regno di Napoli.
La Repubblica di Venezia chiamò a se Restaino di cui sapeva l'abilità di condottiero, apprezzata da tutti i potenti d'Italia. Ma il re lo convinse a declinare l'invito, poiché subdorava che poteva trovarselo contro, essendogli noto anche l'odio del papa per la Francia, un odio che sfruttò a suo vantaggio.
Restaino si ritrovò così coinvolto nuovamente negli scontri terribili tra i maggiori eserciti di allora: da una parte i Francesi dall'altra Spagnoli e Pontifici.
Il conte di Popoli comandava le sue truppe al servizio degli Spagnoli, ed alla fine i nuovi alleati ebbero la meglio sui francesi.

Tornato a Popoli non passò molto tempo che Restaino Cantelmo venne ucciso nottetempo durante il sonno dal suo cappellano e da altri due traditori.
Era il 24 agosto 1514. Si chiudeva così in modo violento la vita di Restaino Cantelmo, e con essa uno dei periodi più travagliati ma gloriosi della storia di Popoli.


Fonte ed info su: www.certame.it
Associazione Recta Rupes