LA  “VISIONE”  DI  DANTE  ALIGHIERI

NELLA  DIVINA  COMMEDIA

Significato  della  Divina  Commedia

Breve e prima analisi comparata della Divina Commedia con la Bibbia.

Molti versi della Divina Commedia sono straordinariamente simili ad alcuni passi dell’Antico e Nuovo Testamento così come scritti nella Bibbia.

Nell’analisi che segue indicherò alcune di queste similitudini, che ci fanno azzardare e giustificare un’ipotesi entusiasmante.

Essa è la seguente:

Dante si considera l’Eletto da Dio a compiere una missione profetica, paragonabile a quella di S. Paolo e di Enea, per annunziare all’umanità intera l’avvento di una nuova era di pace e di giustizia, in quanto la liberazione dal Male è ormai prossima.

Per brevità indicherò con “ D,Inf,x,y “ il verso “y” del canto “x” del libro dello ”Inferno” della Divina Commedia (Purg = Purgatorio, Para = Paradiso,  D.C. = Divina Commedia).

Iniziamo proprio dal principio della D.C.

Il verso D,inf,1,1 recita: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la diritta via era smarrita”.

Se si apre la Bibbia al verso del Profeta  Isaia in Is,38,10 si trova:

Io pensavo: nel mezzo dei miei giorni me ne andrò, alle porte degli inferi sarò trattenuto per il resto dei miei anni, non vedrò più il signore nella terra dei vivi”.

Ed ancora in Is,38,13: “Ho supplicato fino al mattino; come un leone, così egli spezza tutte le mie ossa.”

In Is,38,14: ”Pigolo come una rondine, gemo come una colomba. I miei occhi rivolti verso l’alto sono stanchi; Signore sono oppresso, intervieni in mio favore!”

Come non meravigliarsi di tale somiglianza, e come non riconoscere negli occhi rivolti verso l’alto del profeta Isaia gli stessi occhi di Dante rivolti verso la sommità del colle ai cui piedi era stato fermato dalla vista della Lonza, del Leone e della Lupa (D,Inf.1,13 : “Ma poi ch’io fui ai piedi di un colle giunto… guardai in alto…”).

Balziamo ora per un attimo al secondo canto dell’inferno dantesco.


Al verso 31 (D, inf,2,31) il poeta domanda a Virgilio, e quindi a se stesso:

“Ma io, perché venirvi ? o chi lo concede ? ”.

Perché quindi mi si prospetta la possibilità di visitare da vivo gli inferi ?;

Qual è la ragione di ciò ?;

Tale viaggio non si può certo affrontare  senza che Dio stesso lo permetta !

Ma Virgilio lo conforta dicendogli in sostanza: «Per liberarti da questo timore (“Da questa tema acciò che tu ti solve” D,inf,2,49), ti dirò per quale motivo giunsi a te. Non sono venuto per mia iniziativa ma su specifica indicazione di Beatrice. E non soltanto essa si è mossa. Prima a provare compassione dall’impedimento della Lupa è stata Maria stessa, la quale si è raccomandata a Lucia e questa a Beatrice. Che paura hai dunque ? (“..perché tanta viltà.. D,inf,2,122”). Non temere, perché tre donne benedette si prendono cura di te nel cielo e grandissimo sarà il bene che trarrai da questo cammino».

Dante per di più, ha il determinato proposito di raccontare ciò che ha visto, come si evince fin dall’inizio in D,inf,1,7 “..ma per trattar del bene ch’io vi trovai, dirò de l’altre cose ch’io v’ho scorte”.

 

E poi in D,inf,2,8 “..o mente che scrivesti ciò ch’io vidi..”;

Ed ancora in D,Para,1,10 “Veramente quant’io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto”.

Un analogo dubbio assale il profeta Isaia nella seconda parte del suo libro Is,40,6:

“Una voce dice: «Annuncia !», ed io domando: «Che cosa annuncerò ?».

In Is,40,9: “Sali su un alta montagna, messaggera di Sion! Eleva con forza la tua voce, messaggera di Gerusalemme, elevala, non temere ! Dì alle città di Giuda:«Ecco il vostro Dio!». Ecco, il Signore Dio si avanza con potenza, col suo braccio egli domina.”

Prima di andare oltre però, ritengo sia opportuno, soffermarci per un momento ad analizzare la struttura portante con cui si aprono i primi due canti danteschi.

E la cosa sarà tanto più chiara quanto si esamina l’impostazione dei libri di Isaia.

Il libro di Isaia racconta periodi diversi della storia di Israele ed è composto da 66 capitoli suddivisi in 3 parti.

La prima parte (Is 1-39) è un richiamo alla fede ed alla conversione come unico atteggiamento per evitare l’intervento punitivo di Dio, che si concretizzerà poi nell’esilio degli ebrei e della loro deportazione come schiavi a Babilonia. E’ la rottura dell’Antica Alleanza. Israele che si allontana dal suo Dio rompe la Vecchia Alleanza.

La seconda parte (Is 40-55) è un messaggio di consolazione, ed annuncia al popolo di Israele la liberazione dall’esilio babilonese, che effettivamente si realizzerà. In questa parte si delinea la figura misteriosa del Servo del Signore che attuerà la vera liberazione attraverso il dono della vita offerta in riscatto di tutti. E’ l’anticipazione della Nuova Alleanza, del Nuovo Vangelo.

La terza parte (Is 56-66) è un grande canto di gioia per l’avvenuto ritorno dall’esilio. Gerusalemme è il punto di arrivo, ma anche il punto di partenza, per proclamare la salvezza ricevuta.

E’ notevole osservare ora, come il primo canto dell’inferno dantesco inizi proprio riprendendo il salmo 38 di Ezechia che costituisce la chiusura della prima parte del libro di Isaia (D.inf.1,1 con Is,38,10). La prima parte del libro di Isaia, ricordiamolo, invita ad allontanarsi dalla corruzione del male.

Mentre le parole che Dante pronuncia all’inizio del secondo canto dell’inferno coincidono con le parole pronunciate dal profeta Isaia all’inizio della seconda parte del libro di Isaia; parte che come si è detto costituisce l’annunciazione della liberazione e della venuta del regno messianico (D,inf,2,31 con  Is,40,6).

Ecco quindi il parallelo:

Il poema dantesco si apre citando la fine del Vecchio Testamento (identificato dal primo libro di Isaia), e continua rievocando nel secondo canto l’inizio del Nuovo Testamento (identificato dal secondo libro di Isaia).

Una siffatta analogia non può essere casuale in un verseggiatore come Dante, tutto portato alla ricerca della perfetta simmetria poetica che sia allo stesso tempo anche significativa.

Sembra quindi che Dante abbia voluto esaltare questa differenza, questo passaggio tra la perdizione iniziale e la salvezza ritrovata in Dio.

Fin da subito quindi nel cammino dal primo al secondo canto, viene marcata la netta distinzione tra Vecchia e Nuova Alleanza, tra Antico e Nuovo Testamento, tra la Morte e la Vita, ed è in questa chiave che Dante vuol comunicare quale sarà l’oggetto del suo racconto.

Secondo il nostro poeta, il periodo storico in cui egli viveva (siamo nel 1300), era dominato dal peccato e non vi erano più vie di uscite dalla selva peccaminosa in cui tutta l’umanità era caduta (..quando la diritta via era smarrita) (D,inf,1,3).

Solo un supremo intervento divino poteva risollevare le sorti degli uomini.

Per Dante si stava prospettando l’arrivo di un nuovo Salvatore, ed a lui era toccato il compito, tutto speciale, di annunciarlo al mondo.

Allo stesso modo in cui la venuta di Gesù Cristo fu preceduta e cantata da Virgilio, così ora, Dante con questo componimento preannunciava l’avvento del nuovo liberatore; il Veltro.

La nuova era di pace, la nuova redenzione morale, civile e religiosa dell’Italia e del mondo si realizzerà quindi molto presto, quando il Veltro verrà (.. infin che ‘l Veltro verrà. D.inf.1,101) che farà morire con dolori la Lupa simbolo del Male. Tale Veltro non amerà ricchezze terrene, ma sapienza, amore e virtù (D.inf.1,103).

E non è un caso che il poeta percorra questo viaggio proprio durante la settimana santa dell’anno 1300 che è anche l’anno dell’indizione del primo Giubileo cristiano.

E’ necessario quindi che l’uomo si prepari allontanandosi dalla perdizione in cui è caduto, e si  riconverta a Dio per ottenere la salvezza.

Allo stesso modo del profeta Isaia, anche Dante ha una missione profetica da compiere, e la realizza raccontando al mondo questa “visione”, perché esso si prepari ad un nuovo avvento di pace e giustizia.

E come l’inizio della D.C. ha dei chiari punti di contatto con l’inizio della Bibbia, altri riferimenti se ne trovano alla fine della stessa Bibbia, nell’ultimo libro dell’Apocalisse.

E’ lì che il messaggio dantesco si fa più chiaro.

Leggendo la “Visione Introduttiva” dell’Apocalisse (Ap,1,9) il profeta Giovanni spiega che «Rapito in estasi..» gli apparve in visione Gesù stesso che lo invitava a scrivere in un libro ciò che ora gli avrebbe mostrato (Ap,1,11).

Gesù apparve come «..uno simile a figlio di uomo..» (Ap,1,12), e per la paura che procurò al profeta, esso «..cadde ai suoi piedi come morto..» (Ap,1,17).

Ma la voce lo rassicurò «..Non temere !.. giacqui morto, ma ora eccomi vivo per i secoli dei secoli; nelle mie mani sono le chiavi della Morte e dell’Ade. Metti in iscritto le cose che vedrai» (Ap,1,18).

Quale stupendo parallelo scaturisce dai versi danteschi quando l’ombra del poeta Virgilio si presenta allo sperduto Dante, e quest’ultimo impaurito gli grida: «Misere di me, qual che tu sii, od ombra od omo certo !» (D,inf,1,65).

E Virgilio risponde: «Non sono uomo, uomo già lo fui..» (D,inf,1,67), e più avanti: <<.. per il tuo bene, è meglio che tu mi segua, ..ti trarrò da qui per portarti negli Inferi dove vedrai le anime sofferenti degli antichi spiriti..>> (D,inf,1,112).

Scendendo nei dettagli dei scritture vale ricordare le bestie apocalittiche del verso 13 (Ap,13) che assalgono gli uomini e fanno dire all’autore biblico «Chi è simile alla bestia ? E chi può combattere con essa ?» (Ap,13,4).

Stesse bestie che assalgono Dante ai piedi del colle; ed in particolare la Lonza, la più terribile, la quale «..non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo impedisce che l’uccide;» (D,inf,1,95).

E ancora al verso 17,6 dell’Apocalisse, il profeta nel vedere “La grande meretrice”, la donna simbolo di ogni società anticristiana, esclama «..Al vederla io fui preso da grande meraviglia..» (Ap,17,6).

Stesso timore provato da Dante alla vista della Lupa, tale che «..questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista ch’io ..» (D,inf,1,52).

In D,inf,1,117, Virgilio spiegherà a Dante che l’oggetto della sua visione sarà la «..seconda morte..»), la stessa del profeta Giovanni in Ap,20,14 e Ap,21,8, «Questa è la seconda morte».

Ma ciò che è più sorprendente, o forse lo sarà stato per Dante, sta nella lettura del verso 11 dell’Apocalisse, intitolato “I due testimoni”.

In Ap,11,2 v’è scritto: «..è stato concesso ai gentili di calpestare la Città santa per quarantadue (42) mesi. Ma io invierò i due testimoni a esercitare il loro ministero profetico, vestiti di sacco, per milleduecentosessanta  giorni (1260)».

Operando la trasformazione di mesi e giorni in anni, si ottengono 1260 anni dalla nascita di Cristo, coincidenti pressappoco con l’anno 1265 della nascita di Dante; e sommando 1260 con 42 si hanno 1302 anni, che corrispondono pressappoco all’anno 1300.

Quest’ultimo è un anno del tutto particolare in quanto primo anno giubilare e 35° anno di vita di Dante, quando quindi egli si trova nel mezzo della sua vita.

Tale coincidenza numerica nel libro profetico dell’Apocalisse, non poteva essere considerata casuale da Dante, che avrà così visto nella figura dei due testimoni se stesso e Virgilio.

Concludo con la lettura dell’Epilogo dell’Apocalisse.

Poiché è ormai chiaro che per Dante la D.C. è una visione profetica alla stregua dell’Apocalisse, è sottinteso che egli facendo proprio il versetto finale Ap,22,7, in cui il profeta Giovanni afferma che sarà «..Beato chi osserverà le parole profetiche di questo libro !», è come se abbia voluto dirci che avendo avuto, lui, per grazia divina, la possibilità di osservare e ammirare le cose descritte nell’Apocalisse, e quindi la vita ultraterrena in esso descritta, può essere annoverato senza dubbio per insindacabile giudizio divino, anche tra la schiera degli stessi “Beati”.

Analisi di Cantelmo Giuseppe fatta a Verona il 16 aprile 2000.

(Domenica delle Palme dell’anno Giubilare 2000)